A cura di Ludovica Silvestrini
Come intuibile dal nome, la norma Willy arriva dopo il tragico evento avvenuto a Colleferro nella notte tra il 5 e il 6 settembre scorso. Prevede un aumento delle pene per chi abbia partecipato a una rissa, facendo salire la multa da 309 a 2000 euro e la reclusione, se qualcuno resta ferito o ucciso nella rissa, da un minimo di sei mesi a un massimo di sei anni (ora va da tre mesi a cinque anni). Per i protagonisti di disordini o di atti di violenza il questore può disporre il Daspo da specifici locali o esercizi pubblici: se violato c’è la reclusione fino a due anni e una multa fino a 20.000 euro.
A volerla introdurre sono i ministri Alfonso Bonafede e Luciana Lamorgese.
L’avvocato Domenico Marzi, legale della famiglia di Willy Monteiro Duarte ha dichiarato che: “non credo che legiferare in emergenza sia la cosa più saggia” e che “occorrerebbe una maggiore vigilanza, ad esempio nelle palestre e nelle scuole, magari allungando la permanenza anche pomeridiana”.
Io, che sto iniziando ora a toccare con mano norme e sentenze, non credo che sia solo questo ciò di cui c’è bisogno e che legiferare in emergenza dopo un evento così scandaloso, di importante impatto mediatico, è un segnale che mira a rendere le pene maggiormente educative.
Forse, le già esistenti norme non bastano e chi afferma che “bisognerebbe valutare perché episodi del genere si verificano e a chi sono ascrivibili” non tiene in considerazione la paura.
In questa situazione chi compie violenze del genere (mi astengo dall’associarvi aggettivi) non ha paura. Non ha paura di essere visto, non ha paura delle conseguenze (evidentemente non ritenute tanto severe) e non ha paura del giudizio altrui.
Chi ha paura sono i passanti, che spesso e volentieri riprendono la scena senza intervenire, la famiglia di chi subisce le violenze e, soprattutto, la vittima.
Quest’estate mentre mi trovavo in vacanza in Puglia, uscita da un locale, ho visto un gruppetto di ragazzi molto “agitati” e un ragazzo che si allontanava da solo barcollando. Non capivo cosa fosse successo, non essendo plausibile nella mia testa che si fossero potuti accanire in sei contro uno. Una volta superato il ragazzo, ho visto il sangue che aveva addosso e le pessime condizioni in cui versava. Il gruppetto l’ha rincorso ancora e ho avuto paura anch’io per lui.
Ho chiesto al tassista cosa fosse successo e perché non fosse intervenuto. “Sono cose che succedono” mi ha risposto. Penso avesse avuto paura anche lui, un uomo grande e maturo.
Non che abbia importanza ma la vittima in questo caso aveva la pelle bianca.
Sento persone che si lamentano della troppa ‘pubblicità’ che si fa a casi come quello di Willy e che definiscono tutti noi come manipolabili e ignoranti, dal momento in cui conosciamo solo ciò che i media vogliono farci conoscere e ignoriamo altri casi di risse in cui la vittima è “uno di noi”.
Un italiano quindi? Personalmente non mi associo a nessuna categoria.
Lo scandalo è ovunque ci sia violenza e penso che vengano discussi maggiormente i casi in cui la vittima è di pelle scura per ovvie ragioni. Non affronterò il discorso del se l’Italia sia razzista o meno, anche perché non sarebbe corretto, ma se per sensibilizzare persone un po’ più disattente si fa uso dei media, non vedo quale sia il problema.
In conclusione, credo che il pericolo sia ovunque e concreto e che, se per arginarlo è necessario inasprire le pene accetterò questo evento, così come l’essere “condizionabile” da circoli mediatici.