A cura di Carlotta Gisonni
La trepida attesa degli aspiranti camici bianchi per la pubblicazione della graduatoria nominativa nazionale dei test di medicina, é ormai giunta al capolinea. Il 2019 ha visto partecipare ben 68.000 studenti alla prova di ammissione del bramatissimo corso di laurea, disponente tuttavia di soli 12.000 posti. La palpabile atmosfera di competizione che ha caratterizzato questo evento, ha riaperto con sé il dibattito concernente i test d’ingresso a numero chiuso. È bene prima di tutto capire allora, quale sia la natura di tali concorsi. I test di ammissione, sono distinguibili in corsi ad accesso programmato a livello nazionale e a livello locale. I primi, gestiti interamente dal Ministero dell’Istruzione, sono stati introdotti per la prima volta dal ministro Zecchino con la legge 264/99. Ciò avvenne in seguito della sentenza 383/98 della Corte Costituzionale che richiedeva la valutazione delle modalità di accesso al mondo universitario, finalizzata a un sistema di formazione che garantisse alti standard. I corsi di laurea accessibili in questo modo sono quelli di Medicina,Odontoiatria,Veterinaria e Architettura.
Eccezionalmente, i corsi di Professioni Sanitarie e Scienze della formazione Primaria sono gestiti solo parzialmente dal Miur.
Il numero chiuso locale invece, consiste in test organizzati dai singoli atenei in totale autonomia per effettuare una preselezione dei candidati che vi partecipano o rilevarne il generale livello di preparazione. Tale concorso riguarda le facoltà di Ingegneria, Psicologia, Economia, Farmacia,Biotecnologie, Biologia,CTF e Chimica.
A proposito dell’abolizione del numero chiuso, le opinioni divergono. Alcuni sostengono che i test d’ingresso rappresentino una prima importante selezione meritocratica per l’accesso alle facoltà, motivo per cui si è pensato di introdurre la formula del numero programmato anche per i corsi di laurea umanistici (proposta che è stata dopo poco respinta). Altri invece ritengono che il diritto allo studio debba essere garantito a tutti anche a livello universitario,soprattutto considerando il netto calo del tasso di laureati. A rinfocolare la questione sono stati proprio i dati che descrivono come in pochi anni circa 24.000 medici lasceranno il servizio sanitario nazionale, urgerebbe dunque formare un nuovo personale sanitario.