A cura di Francesca Lucci
In questo giorno di 73 anni fa moriva Mohandas Karamchand Gandhi, filosofo, politico e pioniere dell’India moderna.
Il pensiero comune è quello di uomo saggio, altruista e vendicatore dei diritti degli indiani, tanto da essere nominato per cinque volte consecutive per il Premio Nobel per la pace, senza, però, vincerlo mai.
Ma è davvero tutto oro quel che luccica?
Il Mahatma, suo appellativo onorifico, si è chiaramente fatto strada grazie alle sue abilità oratorie, al suo spirito tenace e alla sua fame di giustizia per un popolo senza voce e troppo a lungo sottomesso.
Negli ultimi anni, grazie a varie testimonianze si è potuta ricreare un’immagine dettagliata di chi fosse veramente Gandhi; per esempio una lettera del figlio, Harilal dove racconta il dolore devastante per la morte della madre, causata da una polmonite acuta che Gandhi si rifiutò categoricamente di curare con le medicine moderne, “sostanze aliene al corpo” come lui severamente sentenziò.
Quando però fu Gandhi ad ammalarsi di malaria, non esitò a curarsi proprio con quella – tanto odiata- medicina moderna, forse accorgendosi dell’errore commesso.
Nella stessa lettera, Harilal descrive il padre come un uomo inflessibile e estremamente duro in merito all’educazione dei suoi figli, ai quali era proibito interrompere gli studi all’estero anche per la commemorazione della madre.
Harilal, profondamente ferito da questo distacco emotivo con il padre si allontanò da lui e da tutta la sua famiglia, per presentarsi, anni dopo, al funerale dello stesso completamente ubriaco.
Il forte razzismo di Gandhi si manifestò nel suo viaggio in Sudafrica durante il quale dichiarò “la razza bianca in Sudafrica dovrebbe essere la razza predominante.”
Per non dimenticare la sua incarcerazione nel 1908, durate la quale si infuriò poiché gli indiani erano costretti a condividere la cella con i neri e non con i bianchi.
Questi aspetti del pensiero di Gandhi sono stati a lungo denunciati da moltissimi autori sudafricani, senza però ottenere la risposta e la diffusione che meritavano.
Ma l’aspetto più atroce del movimento di Gandhi fu sicuramente il suo rapporto con il genere femminile. Egli provava un forte odio per la sessualità delle donne ma al tempo stesso era frequente la sua vicinanza con ragazzine, per lo più minorenni.
È vero che il Mahatma fece voto di castità -senza mai consultate l’opinione e i desideri della moglie- ma questo non gli ha impedito di dormire completamente nudo vicino a ragazze giovanissime, tra cui sue varie nipoti.
Non è certo se con loro abbia mai avuto rapporti sessuali o meno, perché il suo scopo principale, come lui stesso affermò, era quello di riuscire a imporsi un autocontrollo tale per il quale non avrebbe ceduto al desiderio sessuale.
Oggigiorno, purtroppo, le credenze di Gandhi persistono nella cultura indiana e tutti questi aspetti allontano le tradizioni di questo popolo da una cultura occidentale sempre più aperta mentalmente. Le menzogne, la violenza e la privazione della libertà, soprattutto quella delle donne, sono aspetti cancellati radicalmente dall’immagine comune che abbiamo di Gandhi.
Personalmente ritengo che la storia sia stata particolarmente benevola nei suoi confronti, e chi ancora lo protegge si appella a concetti come imperfetto e umano. Gandhi è stato un abile stratega, ed è riuscito a capire il momento esatto in cui bisognava iniziare a parlare di rivoluzione e cambiamento, nascondendosi dietro alla maschera che da sempre un uomo politico sa indossare.