A cura di Nicola Ferrulli
Oggi tutta Italia celebra l’illustre figura del Sommo Poeta. La sua opera più nota, la Divina Commedia, mi ha appassionato infinitamente negli anni delle superiori: la concepivo come una “guida” per esplorare le mille sfaccettature della natura umana, dagli aspetti più beceri a quelli più nobili.
Una peculiarità straordinaria di quest’opera letteraria risiede nella sua capacità di risultare attuale anche a distanza di Settecento anni.
È un’enciclopedia perfettamente riuscita del mondo medievale di Dante, un mondo molto simile al nostro. Storia, Arte, Astronomia, Medicina, Religione, Potere, Omicidi, Amore, Odio, Desiderio, Dolore, Coraggio, Umiltà, Grandezza…sembra quasi impossibile che una singola opera possa contenere ogni singolo aspetto dello scibile umano.
Tra le tante storie raccontate nella Commedia, una in particolare mi è balzata in mente stamattina. Si tratta di un episodio marginale rispetto ad altri, ma estremamente carico di significato ancora oggi. Parliamo del V canto del Purgatorio, ed in particolare delle ultime due terzine del Canto, quelle in cui è narrata la triste vicenda di Pia de’ Tolomei, una nobildonna senese brutalmente assassinata dal marito. Dante la incontra nell’Antipurgatorio, una sezione del mondo ultraterreno dantesco in cui le anime devono attendere un tot numero di anni prima di accedere al Purgatorio. Le anime in questa zona infatti sono quelle dei “negligenti a pentirsi”, ovvero le anime delle persone che non hanno avuto tempo o si sono attardate a pentirsi dei propri peccati.
Pia fa parte della schiera di coloro che sono morti di morte violenta e che quindi hanno abbandonato il mondo terreno all’improvviso, senza aver avuto l’opportunità di pentirsi in tempo dei peccati commessi in vita.
I versi in questione recitano:
«Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via»,
seguitò ‘l terzo spirito al secondo,
«ricorditi di me, che son la Pia:
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che ‘nnanellata pria
disposando m’avea con la sua gemma».
Parafrasati: «Orsù, quando sarai tornato sulla Terra e avrai riposato per il lungo cammino», proseguì un terzo spirito dopo il secondo, «ricordati di me, che sono Pia (de’ Tolomei); nacqui a Siena e fui uccisa in Maremma; lo sa bene colui che, dopo avermi chiesto in sposa, mi aveva dato l’anello nuziale».

Un triste episodio di femminicidio di Settecento anni fa, raccontato direttamente dalla vittima, una donna che in poche parole rivela la sua immensa umiltà: chiede cortesemente a Dante di ricordarsi della sua storia, ma solo dopo aver riposato per il lungo cammino.
Dante nella sua opera da voce alle storie di numerose donne del suo tempo, le quali, in una realtà dominata dagli uomini, non avrebbero avuto l’opportunità in vita di far conoscere al mondo i propri sentimenti, i propri desideri, le proprie sofferenze. In un secolo dominato dalla violenza e dai conflitti, le vicende di queste donne non avrebbero avuto spazio di essere raccontate.
Ma Dante ce le racconta, e lo fa con immenso rispetto per le donne che incontra nel suo cammino ultraterreno, indipendentemente dalla loro condizione “spirituale”. Anche le parole dell’anima dannata di Francesca lasciano infatti trasparire un velo di comprensione, di solidarietà che Dante percepisce nei suoi confronti.
Con uno sguardo al mondo di oggi, alla luce della recente notizia dell’abbandono da parte della Turchia della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, la vicenda di Pia de’ Tolomei dovrebbe rendere tutti noi consapevoli della Grandezza di personaggi che ci hanno preceduto di settecento anni e dell’infinita piccolezza di tutti coloro che nel XXI secolo voltano lo sguardo di fronte a un’enorme piaga sociale dei nostri giorni: la violenza e le disparità di trattamento di cui sono vittime le donne di tutto il mondo, oggi come nell’Italia del 1300.