Lettera a Roma

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A cura di Greta Di Cicco

“Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma” 

Orazio Flacco Quinto

Cara Roma,

oggi, 21 aprile, si festeggia il tuo compleanno, quello che il mondo chiama “Natale di Roma”, 2774 anni ab Urbe condita della città mia e della mia famiglia da generazioni. Il Tuo nome racchiude il senso della storia con la S maiuscola, non esiste luogo sulla terra dove il tuo nome non sia conosciuto e riconosciuto per il significato che rappresenta. Non serve altro, quattro lettere, infinite emozioni evocate. Roma, Città Eterna, incarni molteplici aspetti: secoli di storia, un passato glorioso, l’importanza della tradizione, i valori della cultura occidentale, un patrimonio culturale ed artistico inestimabile, ma anche il presente contaminato dalla modernità. Sei capace di dare immediatamente, anche a livello fisico, il senso del passato, in cui si rimane totalmente immersi; ti si potrebbe definire “un sistema vivente di rovine”. Si assiste al tuo costante rivivere attraverso le generazioni, la tua eternità consiste proprio in questa straordinaria ed inarrestabile “sopravvivenza”: si vive attraverso e continuamente sopra al vissuto. La rovina, intesa come reperto, crea la forma presente di una vita passata, non in base ai suoi contenuti, o ai suoi resti, ma in base al suo passato in quanto tale. Da ciò deriva il fascino e il valore dell’antichità. Tu sei eterna perché vivi e fai rivivere le tue rovine, ma non sei una “rovina”. Roma, tu puoi essere considerata come la mostra più ricca e significativa fondata, vissuta, vivente dell’impero dell’uomo e della Storia.

H. James in “Ore Italiane” a proposito del Foro Romano scriveva: “non vi è nulla a Roma che aiuti la vostra fantasia a compiere un più rigoroso volo nel passato, quanto lo starsene tranquillamente appoggiati, in un giorno di sole, alle transenne che delimitano la grande area centrale degli scavi, quando vi fermate in quel luogo, il vedere il mondo antico, materialmente portato alla luce dalla vanga…”, mentre lo scrittore N. Hawthorne affermava che tu fossi la città famosa per il tuo “sense of remembrances”, una città che incarna la possibilità di vedere materializzata la “città di Dio”, nella quale l’anima dell’individuo può sentirsi allo stesso tempo unita con la  comunità presente e parte delle generazioni passate e future. Roma, malgrado mille difficoltà, risorgi ogni mattina, allo spuntar del sole ti carichi sulle spalle il peso della storia, il presente complesso e faticoso, l’incognita del futuro e sai accogliere a braccia aperte come una madre amorevole, come la “Mamma Roma” di Pasolini, dal cuore grande nonostante le cicatrici della vita, genuina e buona come l’odore del pane caldo appena sfornato. Passeggiando tra i vicoli del centro, quelli non segnalati sulle guide turistiche commerciali, mi vengono in mente le parole di Venditti nel suo capolavoro “Roma capoccia”: “…e le finestre sò tanti occhi che te sembrano dì: quanto sei bella”… ed immagino affacciati a quelle finestre Albertone, Aldo, Ennio, Gabriella, Gigi, Nannarella, Trilussa… emblemi della romanità più sincera e fonte di nostalgia. E allora per concludere vorrei dedicarti le parole del cantante Ultimo che recitano “come me manchi, domani torno e prima cosa vado a pijà du guanti, perché pè scrivere de te ce vò rispetto…” 

Buon compleanno Roma!

Ps: sono cresciuta ascoltando versi di poesie su di Te che mio Nonno tuttora si diverte a declamare, la mia preferita inizia così “ esse romani ar monno è na fortuna perché de Roma ce n’è solo una”… e conclude dicendo “ il complimento più straordinario ce l’hai nel nome se letto all’incontrario”.

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