A cura di Francesco Ferrari
Quante volte avete sentito elencare le caratteristiche di una persona come se fossero gli optional di un’automobile?
Quante volte, maschi o femmine, di fronte a un profilo Instagram vi hanno parlato della persona per cui avevano interesse elencando altezza, stazza corporea, linee del viso o anche solo di interessi sulla carta, prestazioni intellettuali, ruoli nella società, posizioni in gerarchie del tipo più svariato?
È una tendenza in atto da molto tempo, ma nel mondo di oggi può essere che vi accada più o meno tutti i giorni.
Intendiamoci, la “descrizione” di chi è oggetto dei nostri sentimenti è cosa propria dell’Uomo sin dall’alba dei tempi, semplicemente per un motivo: chi provava amore o attrazione per qualcuno ha sempre cercato di giustificare quel laccio irrazionale che lo stringe all’altro e di individuare, quindi, gli strumenti con cui la natura o la sua mente lo avevano spinto ad accettare la persona nel suo insieme, trasformandola in una calamita per i suoi pensieri.
Quello che è nuovo al giorno d’oggi è che, esattamente come non riusciamo, spesso, a dare valore agli oggetti se non mediante un prezzo o valutazioni numeriche, pensiamo che anche le persone possano essere valutate oggettivamente. Ecco che così il processo è invertito: si parte dal valutare la descrizione “oggettiva”, magari sfogliando uno dei “cataloghi social” (che hanno sostituito per molti la folgorazione dal vivo come metodo di scelta) e poi ci si illude di poterne trarre l’attrazione irrazionale, che invece è per sua natura inaspettata, soggettiva, indescrivibile, impronunciabile. Sveliamo un mistero: a volte funziona, ma il più delle volte no. Spesso quando si crede funzioni è perché non si sa davvero cosa sia l’amore.
Quello che questa “quantificazione” della persona genera sono moltissimi effetti distorti, tutti effetti e meccanismi che nessuno ammetterebbe mai coscientemente di avere applicato: primo fra tutti il trasferimento del metodo “quantitativo” nel rapporto tra i due amanti.
Così nasce la ricerca del partner-trofeo (perché “se lui/lei vale 100 e sta con me allora valgo almeno 100 anche io”), così nascono la sfiducia (“devo accontentarmi del rapporto che ho con lei/lui perché mi pare valga 100 e già a me pare di valere 80”), la pietà (“vale 80, io valgo 100 e siccome ormai mi sono un po’ affezionato non la/o lascio per non umiliarla/o”), oppure così nascono i rapporti di orgoglio fatti di ripicche come se ci fosse da recuperare punti ai rigori, o ancora il più tragico “agonismo amoroso”, che spinge soprattutto le persone insicure e incapaci di “valutarsi” a forzare le situazioni per ottenere a ogni costo la “patente” di aver conquistato questa o quella persona.
Tutto questo non c’entra niente con la razionalità “buona”, che non dovrebbe mai mancare nel farci capire quando la parte irrazionale diventa patologica, tossica o tale da invadere ogni altro aspetto della vita.
Tutto questo fa sì che la matematica delle situazioni spesso ci confonda, ci faccia dimenticare che vale la pena di spendersi a vicenda l’uno per l’altro solo se, al di là di tutto e oltre ogni valutazione razionale e oggettiva di valore o di convenienza esiste un carisma reciproco, un flusso di intenti che ci spinge a cercare sempre più vicinanza e fusione con chi abbiamo al nostro fianco.
In sostanza: anche la principessa Diana può essere lasciata per una più mediocre e meno avvenente e nessuno sa per quale motivo, ma l’importate -per l’amore- è che lo sappiano Carlo e Camilla.