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Quanto (si) dipende da Facebook, Instagram e Whatsapp?

Quanto le nostre vite sono strettamente legate alle applicazioni di Facebook? Alcuni fino al 5 ottobre avrebbero detto poco, ma dopo il grande blocco dei social di martedì, forse ci siamo resi conto di come questi strumenti influenzino le nostre vite private e professionali. Con te caro lettore vorrei riflettere proprio su questo: la capacità di Facebook, Instagram e Whatsapp di creare cambiamenti profondi. All’interno dell’articolo sono presenti alcune riflessioni di Giuseppe F. Italiano, professore di Computer Science e direttore del corso di laurea magistrale in Data Science and Management della LUISS.

Tutto ha inizio la mattina del 13 settembre, quando alle 10:21 sul Wall Street Journal viene pubblicato l’articolo Facebook Says Its Rules Apply to All. Company Documents Reveal a Secret Elite That’s Exempt. Questo articolo firmato dal giornalista Jeff Horwitz è per Facebook Inc. una doccia fredda; da qui parte infatti l’inchiesta del WSJ chiamata “The Facebook files”. L’inchiesta è molto dettagliata e accusa la compagnia di essere a conoscenza di dinamiche potenzialmente pericolose, che però secondo la logica del profitto non vengono contrastate, ma anzi agevolate. La testata è stata in grado di ricostruire questo quadro così agghiacciante, partendo da documenti interni di Facebook, diffusi da una fonte anonima. Solo il 4 ottobre, a seguito di un’intervista a 60 Minutes, si è scoperto che la talpa è Frances Haugen, ex Product Manager di Facebook Inc. ndr.

Stando a quanto dichiarato dalla Haugen, Facebook applicherebbe volutamente alcune strategie per aumentare i propri profitti a discapito della sicurezza, incoraggiando la disinformazione, la diffusione di fake news e l’alimentazione di rabbia sociale, dando maggiore visibilità nel proprio feed a questo tipo di contenuti.

Si parla molto in questi ultimi giorni di algoritmi capaci di scatenare la rabbia sociale, quanto c’è di vero e quanto invece sono solo supposizioni?

Non so se gli algoritmi alla base delle varie piattaforme (come i social network) siano in grado di scatenare rabbia o incitare all’odio, o se piuttosto questi sentimenti siano insiti nella nostra natura umana. In fin dei conti, spesso l’odio nasce proprio da persone in carne e ossa, come i famosi “leoni da tastiera”, che sembrano semplicemente trasferire i loro sentimenti negativi dal mondo fisico al mondo virtuale, spesso ignorando i danni che stanno facendo. A mio avviso, le piattaforme e gli algoritmi che ne regolano il funzionamento, non fanno altro che amplificare quest’ odio, e più in generale una “comunicazione tossica” e la disinformazione. Anche perché le piattaforme non sono neutrali: hanno un loro modello di business, incentrato sul consumo di contenuti, che può trarre maggiori benefici da comportamenti polarizzanti o antagonistici, e dal privilegiare contenuti “incendiari” o semplicemente più estremi. 

L’ex manager afferma di aver lasciato la compagnia proprio a causa di queste dinamiche interne e di voler rendere con le sue dichiarazioni i social dei posti più sicuri. Un punto sul quale la donna insiste molto è la questione della tossicità di un certo tipo di comunicazione che avviene online. In particolare, alcuni documenti dimostrano che Facebook Inc. è a conoscenza di quanto Instagram, con le sue dinamiche legate all’immagine e all’esasperazione dell’aspetto fisico, sia tossico per le adolescenti.

Secondo lei quanto Facebook è realmente a conoscenza della tossicità di Instagram specialmente nelle ragazze adolescenti?

Secondo alcune notizie riportate di recente dalla stampa americana, una ricerca interna a Facebook aveva evidenziato già nel marzo 2020, che Instagram era potenzialmente dannoso per l’immagine e per il benessere delle adolescenti. Chi studia i social probabilmente non aveva neanche bisogno di dati di questo tipo. Come dicevamo prima, i social network seguono un loro particolare modello di business, e quindi hanno un forte incentivo a monetizzare le loro piattaforme secondo una logica di profitto. Per fare un’analogia, fin dagli anni ’50 era noto quanto il fumo fosse dannoso per la salute, ma nonostante i vari studi scientifici, molti produttori di tabacco hanno continuato a ignorare il problema per svariati decenni.

Dopo l’intervista le reazioni da parte della stessa Facebook e dei suoi manager non sono mancate, lo stesso Mark Zuckerberg ha scritto un lungo posto in cui risponde ad alcune accuse che vengono mosse nei confronti dei suoi social. C’è però a mio parere un punto ancora poco dibattuto: la questione kids. Molte applicazioni stanno sviluppando sempre più versioni proprie, dedicate ai bambini più piccoli di 13 anni (limite d’età attuale per utilizzare le app di Facebook Inc.). In un rapporto interno del 2020, alcuni analisti si chiedevano retoricamente “Why do we care about tweens?”, e dopo qualche riga la seguente risposta “They are a valuable but untapped audience”. Facebook in questo report, attraverso delle indagini statiche,cerca di capire come adolescenti e preadolescenti usino la tecnologia, al fine di poter sviluppare soluzioni ad hoc per le prossime generazioni. Fin qui nulla di eccessivamente eclatante. Tuttavia anche se questa attenzione di Zuckerberg e del suo team, avrà sicuramente fatto storcere il naso a più di qualcuno, il vero problema riguarda la sicurezza. Riusciranno ad essere le versioni kids sicure? Facebook qualche passo l’aveva fatto nel 2018 modificando il suo algoritmo, ma nei documenti si legge che ai primi segni di calo delle interazioni, l’algoritmo è stato modificato nuovamente per mitigare i contenuti potenzialmente dannosi. Lo stesso team che ha lavorato all’algoritmo, in un report interno ammette peró che questo sistema può promuovere contenuti divisivi e pericolosi.

I social sono realmente dei luoghi sicuri per i bambini e i ragazzi? C’è un reale impegno e interesse da parte della stessa Facebook Inc.?

I social, come tutte le tecnologie, non sono né buoni né cattivi. Ma non sono neanche neutrali. È importante conoscerli bene e comprenderne a fondo i rischi e i benefici. Ed essere in grado di gestire, o meglio di mitigare i rischi, soprattutto per bambine, bambini e adolescenti. Questo non è facile, anche perché la velocità con cui si sono diffusi i social è impressionante. Le automobili hanno impiegato 62 anni per raggiungere 50 milioni di utenti, mentre Facebook ha raggiunto 50 milioni di utenti in 2 anni, Instagram in 18 mesi e Tik Tok in 6 mesi! Come dire, abbiamo avuto 62 anni per comprendere l’impatto delle automobili nelle nostre vite, per renderle più sicure e per mitigarne i possibili rischi. Ma se una nuova tecnologia si afferma in 6 mesi, probabilmente non riusciamo neanche ad accorgerci di quello che sta succedendo sotto i nostri stessi occhi e di quanto questa stia cambiando profondamente le nostre vite, figuriamoci comprenderne i rischi!

Ancora non sappiamo dove questa inchiesta ci porterà e quali saranno le azioni che le istituzioni decideranno di intraprendere, però non possiamo ignorare un monito che la Haugen ha lanciato: “se non faremo qualcosa lo scenario sarà sempre peggiore”.

Molte persone sono sorprese da ciò che è emerso dalle dichiarazioni dell’ex Manager Frances Haugen, dovevamo forse aspettarci che Facebook e Instagram adoperassero queste pratiche?

Difficile dirlo. Di recente, ci sono stati molti casi di ex manager o ex dipendenti di grandi aziende tecnologiche, che hanno rilasciato dichiarazioni imbarazzanti e a volte compromettenti sulle aziende per cui avevano precedentemente lavorato, e che hanno generato controversie anche a livello legale. Ma forse vale la pena riflettere anche su un altro punto: oggi, credo per la prima volta nella storia del genere umano, ci sono aziende che hanno più potere di intere nazioni, e questo dovrebbe generare qualche riflessione sulle loro regole interne, sul loro operato e sulla loro accountability.

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