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UNA CENSURA DA SCANDALO

“La scuola cattolica” di Stefano Mordini, film tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, al cinema da oggi, 7 ottobre, è stato vietato ai minori di 18 anni.

Tale censura è stata applicata su un film che narra una storia vera, quella di omicidio e di stupro: una violenza perpetrata ai danni di due ragazze, Donatella Colasanti (interpretata da Benedetta Porcaroli) e Rosaria Lopez (a cui dà volto Federica Torchetti), rispettivamente di 17 e 19 anni.

Il massacro del Circeo, avvenuto tra il 29 ed il 30 settembre 1975, è la storia di due giovanissime che sono state ingannate, seppur inizialmente divertite dal modo di fare di Angelo Izzo e Gianni Guido, due ragazzi della Roma bene che davano a vedere un habitus garbato e ben educato, consono al loro ceto di provenienza. 

Qualche giorno dopo vennero invitate ad una festa sul promontorio del Circeo dove avrebbero presto conosciuto il loro terzo aguzzino: Andrea Ghira.

Dopo aver ricevuto esplicite avance sessuali ed aver rifiutato i ragazzi, Donatella e Rosaria furono violentate, seviziate, drogate e massacrate dai tre.  

Rosaria venne subito annegata nella vasca da bagno in cui perse la vita.

Donatella invece scelse di fingere di morire, sperando che almeno la morte inscenata avrebbe potuto salvarle la vita. E così fu.

I ragazzi caricarono i corpi nel portabagagli della macchina e, dopo essersi allontanati per cenare, Donatella cominciò ad urlare dal bagagliaio e fu fortunatamente ascoltata da un metronotte che passava di lì.

Nel processo del 1976 Izzo e Guido verranno condannati all’ergastolo (quello di Guido sarà poi modificato ad una pena di trenta anni), mentre Ghira riuscirà a scappare in Spagna dove morirà di overdose.

Nel 1975 si aprì un dibattito che si sarebbe concluso solo nel 1996, quando per la legge italiana la violenza sessuale passò dall’essere considerata un reato contro la morale a un crimine contro la persona.

A Izzo venne poi concessa nel 2004 la semilibertà di cui beneficiò uccidendo pochi mesi dopo altre due donne e per questo fu nuovamente condannato all’ergastolo.

Donatella Colasanti è morta nel dicembre del 2005 per un tumore al seno e le sue ultime parole furono “battiamoci per la libertà”.

Una verità che non può essere divulgata se impedita da certe censure.

Una verità che non può scorrere se bloccata senza motivo.

“La scuola cattolica” è un film che racconta di adolescenti interpretati da adolescenti.

Il suo scopo è, certo, omaggiare, ma soprattutto sensibilizzare. Rendere consapevoli i giovani che certe atrocità non sono solo scene di un film, ma vita vera.  

La Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche ha affermato che la motivazione di tale censura non sia legata alla tematica affrontata, né alla veridicità della violenza con cui tale massacro sia stato rappresentato, bensì alla presenza di una scena dal contenuto artistico ritenuto inadeguato per la visione dei minorenni: un quadro di Cristo flagellato. Tale scena viene inoltre accompagnata dalle parole di un professore di religione che sembrano equiparare i carnefici e la vittima.

Questa la motivazione addotta. 

Secondo quanto riportato dall’avvocato della sorella di Rosaria e del fratello di Donatella, eredi del consenso, mortis causa, nonostante lo straziante coinvolgimento personale, i parenti delle vittime hanno apprezzato il tentativo di tramandare la memoria della loro tragedia e, all’appresa notizia della decisione della Commissione di vietare la visione del film ai minori di diciotto anni, sono rimasti alquanto stupiti. 

I giovani, tutti, sono quelli che più dovrebbero essere sensibilizzati sul femminicidio in un paese come il nostro, fin troppo famoso per questo tema. Un mondo in cui la violenza, la mercificazione del corpo, in televisione e su internet, non vengono censurati, bensì divulgati senza filtri. 

Tale “tutela” altro non fa che danneggiare la veicolazione di un messaggio di rilevanza purtroppo tutt’ora attuale riguardo ciò che fu e non smette di essere.

La colonna sonora del film è una canzone di Lucio Battisti, intitolata “La canzone dei ciliegi”, pubblicata nel 1973.

Tale canzone recita “un sorriso che non ha né più un volto né più un’età”.

Ad oggi Rosaria e Donatella non hanno più un sorriso né più un’età, ma non li avrebbero nemmeno se fossero ancora vive. 

Alcune vite smettono di esistere ancora prima di morire davvero.

Certe esperienze lasciano il segno e segnano un vuoto.

Storie come queste dovrebbero essere insegnate tra i banchi di scuola, divulgate, rese note, non censurate per motivi effimeri.

La censura è un silenzio imposto e come tale diviene limite, ma talvolta anche oltraggio.

Anche la vita dovrebbe essere censurata in alcune circostanze. Sarebbe bello poter dire “non ho l’età per vivere questo”. Ma la maggior parte delle volte ciò non succede.

Rosaria aveva 19 anni. Donatella solo 17. E nessuno le ha salvate da quell’atrocità. Nessuno le ha fermate all’entrata del cinema della loro vita, prima di vivere quell’ultima pagina della loro esistenza, perché non avevano l’età per diventare consapevoli della sua spesso assurda atrocità.

Rosaria quella pagina non ha mai finito di leggerla.

Donatella ci è riuscita e chissà quante volte forse si è pentita di averlo fatto.

Sfido chiunque a chiamare vita il costante ricordo di una tale esperienza.  

“Battiamoci per la verità” ha detto prima di morire.

La verità. Anche se brutale, impietosa e dilaniante, ma pur sempre salvifica.

Ed è vero si. Il quadro che contiene le due ragazze e i loro stupratori è lo stesso. Fanno tutti parte dello stesso dipinto ed il pittore è esattamente il medesimo: la società.

Ma ci sono modi e modi di interpretare. 

Modi e modi di vivere. 

Un solo modo per raccontare la verità.

Quella di non oscurarla, né silenziarla.

Lasciarla libera di essere: canzone, ricordo o film. 

Semplicemente vita.

A cura di Greta Di Cicco

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