A cura di Emma Bonavolontà.
“Avete affossato il Ddl Zan ma non affosserete le nostre voci”, “Vergogna”. Sono gli slogan delle migliaia di persone che sono scese in piazza contro la tagliola applicata a questo disegno legge.
Quello che è successo lo scorso mercoledì ha urtato la sensibilità di molti, soprattutto quando la presidentessa del senato Elisabetta Casellati ha deciso il voto segreto per applicare la “tagliola” – adottata con 154 favorevoli, 131 contrari e 2 astenuti – che consiste nel non passare all’esame degli articoli del progetto di legge. Quella stessa politica che avrebbe dovuto rappresentarli si è beffata di tutti coloro che avevano bisogno di questa legge, ha riso e applaudito in faccia a persone che hanno subito crimini d’odio sulla propria pelle. Senza considerare che questa proposta di legge costituiva una speranza di protezione per tante vittime di discriminazioni.
Tra i ghigni del presidente della Commissione Giustizia, Ostellari, e l’abbraccio di Pillon all’esponente di “Cambiamo”, Quagliariello, con il quale ha parafrasato la canzone di Ranieri “Perderee la Zan….”, lo spettacolo è stato macabro.
Il vicepresidente leghista del Senato, Roberto Calderoli, facendo riferimento al Ddl Zan, appellandosi ai senatori in vista del voto segreto ha affermato: “Piuttosto che fare un mostro giuridico, una porcata, e io di porcate me ne intendo, vi garantisco che è meglio fermarci qui”.
Attribuire le responsabilità di questo cambio di rotta è difficile. Vi sono stati 16 franchi tiratori che hanno votato a favore della tagliola senza preavviso.
I maggiori sospetti sono su 12 senatori Renziani, i quali, dopo aver loro stessi redatto parte del disegno legge e averlo votato alla Camera, hanno richiesto l’adattamento del testo alle pretese della destra. E pensare che l’articolo 1 del disegno addirittura era stato scritto dalla ministra per le pari opportunità di Italia Viva, Elena Bonetti.
Le accuse mosse a Renzi e al suo partito sono quelle di “trasformismo” in vista delle elezioni al Quirinale. Ciò che si teme maggiormente, come ha dichiarato Pier Luigi Bersani, è che queste siano state le prove generali per quando si arriverà al quarto scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica. Il deputato Zan ha accusato Renzi di “flirtare” con le destre in vista di possibili poltrone future. La segretaria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni dopo il voto in Senato si è affrettata a far sapere che il suo partito è pronto a dare pieno sostegno alla candidatura di Berlusconi. Ha poi accusato la sinistra di aver fatto collassare il suo disegno di legge, appellandosi nuovamente alla “teoria gender” di cui, come dimostrato in una recente intervista, non conosce neanche il significato e che, oltretutto, non è neppure menzionata nel Ddl. La sinistra viene accusata di non aver voluto mediare con la destra.
Le attenzioni degli oppositori sono state principalmente finalizzate a contrastare il concetto di “identità di genere” espresso nell’articolo 1, con la quale si intende “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.
Il dubbio legittimo ora è se sia giusto far passare una legge contro le discriminazioni che a sua volta discrimina una parte di popolazione. Per chi aspira alla tutela dei diritti umani e civili la risposta è abbastanza ovvia: o proteggiamo tutti o nessuno. E’ facile rendersi conto che tutte le persone trans che non hanno portato a compimento un percorso di transizione risultano cosi non tutelate.
Quello che inoltre non si comprende è il pretesto con il quale è stata respinta l’idea dell’istituzione della giornata contro l’omofobia il 17 maggio da celebrare nelle scuole in quanto ritenuta come un “indottrinamento al gender”. Infine va sottolineata l’accusa principale rivolta a questo disegno legge: di essere liberticida, non lasciando spazio alle libere opinioni. Eppure vi è l’art. 4 che recita “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.