A cura di Francesco Michael Ferrari.
AVVISO: In questo articolo si fa dello spoiler, per questo se volete andare a vedere l’ultimo 007 fatelo e poi tornate a leggere; oppure non andate a vederlo, fareste un gesto eroico più di quanto possiate credere.
Ci sono momenti in cui si capisce che una civiltà sta per finire, ma il momento esatto in cui inizia la sua fine è sempre questa ad annunciarlo: è il momento in cui cadono i suoi miti. Finiti quelli c’è solo da aspettare che qualcuno abbia la forza e l’occasione per darle il colpo di grazia. I miti, intendiamoci, non sono e non sono mai stati storielle. Sin dai tempi dei Greci, la mitologia e poi se vogliamo la letteratura, ma non escluderei recentemente anche la cinematografia, sono stati lo specchio della condizione umana e della civiltà, il modo più facile e spesso l’unico praticabile per trasmettere al di là della logica e dei concetti verbali (e verbosi), le categorie mentali e i paradigmi di una società. Dalle favole i bambini capivano dove stava l’alto e il basso, dove stava la destra e dove la sinistra, dove il bene e dove il male, e in un tempo ormai sconfessato anche dove stesse il maschio e dove la femmina. Per questo, fenomeni politici collettivi e progetti di pubblicità o propaganda, sono sempre stati affamati di miti a volontà. La civiltà romana non è finita come ci insegnano con la Presa di Roma da parte di Odoacre, ma prima: quando Costantino, assieme a molti romani, ha smesso di confidare negli dei di Enea e di pensare ad un eroe nelle vesti di Ercole, e si è riconosciuto nella “mitologia Cristiana”, nel racconto della Bibbia e della Resurrezione. Cos’è successo nell’ultimo 007? È successo che un personaggio letterario nato dalla penna di uno scrittore, l’uomo che tutti i giovani un tempo sognavano di essere e quello che tutte le giovani speravano di incontrare, è stato preso letteralmente a missilate in mondo-visione, come se fosse un idolo pagano, abbattuto da un’orda di vandali convertiti alla nuova religione imperante. “James Bond è morto” è un annuncio dal sapore Nietzscheano, in questo caso senza che sia nemmeno troppo un’iperbole. Il vero omicidio, infatti, si consuma non (solo) nel finale, ma in tutto il corso del film, che è un prodotto culturale della nostra epoca. Il personaggio è apprezzabilmente più completo rispetto alle scorse occasioni, ma lo si è voluto costringere in quello che risulta a noi oggi più accettabile, senza avere il coraggio di guardarlo ancora una volta sorridere beffardo a noi e al nostro barboso presente. Questa assoluta idiosincrasia nei confronti di ciò che fuorvia dalla nuova vulgata, dimostra innanzitutto come questa, essendo vuota e disorientante, non possa che distruggere ciò che è stato, dovendo sfuggire a qualsivoglia sereno confronto. Non è possibile così, tenere in vita James Bond e proporne una figura parallela più moderna in un’altra serie, ma il personaggio di Fleming va necessariamente ucciso per andare avanti senza. Per questo, prima ce lo restituisce come se fosse uscito da un centro di rieducazione e poi lo accoppa. E questo vale anche se nel futuro, sebbene infettato e colpito in pieno da una raffica di missili, dovesse in qualche modo essere resuscitato. Già chiedere a James Bond di essere profondamente introspettivo e monogamo, è come chiedere a Superman di non volare, ma di andare in monopattino; in più, come se non bastasse, gli si è chiesto anche di rinunciare quasi totalmente al suo aplomb elegante, al suo essere gentiluomo e soprattutto lo si è costretto a diventare un noioso dissertatore su determinate questioni, quando invece l’essenza del suo personaggio stava nella “sostenibile leggerezza dell’essere eroe”. Un eroe mai tragico, quasi più un semidio a cui l’Universo concede sempre di farla franca e di avere le proprie forze, ma pur sempre un personaggio la cui caratteristica fondamentale era una: mai perdere le staffe e beffarsi del male con gli sguardi e con le parole. Memorabili sono i testi di molti dei dialoghi dei film passati, in cui il Nostro pronunciava sempre la parola giusta, per tramortire con il sorriso, per rimanere scanzonato, come un moderno Ulisse dal moltiforme ingegno. Di questa sagacia nel film di oggi non c’è quasi traccia. Non tutto è da buttare, per carità. Il ruolo di James Bond da monolite iper-infallibile, a volte risultava quasi antipatico a noi suoi stessi ammiratori; che qualche volta, così come ai comuni mortali, capiti anche a lui di essere “friendzonato” da una bellissima e provocante Ana De Armas, fa pure piacere. Tanto più se questa rappresenta nel contesto un personaggio femminile vivo, originale, simpatico, caratterizzato da brani di sceneggiatura (tra i pochi) riusciti bene nel film. Il fatto innegabile è però che James Bond sia stato liquidato e accompagnato alla porta, seppure con l’onore delle armi, dopo un ultimo atto da indiscusso protagonista, e anche se in un gran finale col botto, ma a ogni modo con il compiacimento di terminare il lung(hissim)o-metraggio con la scena del suo abbattimento. È finita non soltanto l’era dell’esistenza di un James Bond dongiovanni, spavaldo e galantuomo, ma anche quella in cui ci farebbe sorridere e sognare, volerci sostituire a lui. Ci sarà chi, contento della sua morte, se lo lascerà alle spalle e si piglierà Fedez. Per gli altri, come me, non resta che una valle di amarezza, o la triste fine Cervantesca di noleggiare una Aston Martin super-accessoriata, per andare in smoking ad abbattere le macchine da guerra cinesi, sperando non siano mulini a vento, o peggio, le pale eoliche di Greta.