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La tutela del diritto all’immagine sui social networks Quando taggando gli amici si commette un abuso

A cura di Aurora Leoci.

Nonostante non sia previsto espressamente nella nostra Costituzione, il diritto all’immagine rientra nel novero dei diritti della personalità, in quanto è individuabile come una delle dirette diramazioni del diritto alla riservatezza della persona. Per immagine, difatti, s’intende tutto ciò che è diretto a rappresentare l’aspetto fisico, le sembianze e il modo di essere di un soggetto. Ogni individuo gode pertanto del diritto di non volere la divulgazione, l’esposizione o la pubblicazione della propria immagine.
Da ciò si desume che il consenso dell’interessato è proprio il concetto chiave intorno al quale si sviluppa tale tutela. Esso è stato introdotto per la prima volta dall’art.96 della Legge sul Diritto d’Autore (L. 633/41), che prevede che: “il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa”.

Nell’era digitale, nella prorompente era di dominio dei social network, è proprio la condivisione di immagini il fine principale. Numeri impronunciabili di fotografie vengono diffuse ogni giorno sul web. Basti pensare che solo su Instagram sono pubblicate circa 3600 foto al secondo.
Ma cosa succede quando in una di queste immagini è presente la figura di una persona diversa da quella che l’ha condivisa in rete? Può trattarsi del proprio partner, di un amico, di un parente o di un conoscente, ma vale sempre quanto previsto dalla legge in tema di diritto all’immagine? Ebbene sì, per poter scattare e pubblicare la foto di un individuo è necessario chiedere previamente il suo consenso. E se questo è negato o non viene domandato? La persona ritratta può chiedere all’autorità giudiziaria la rimozione dell’immagine ed il risarcimento del danno (art.2043 codice civile). Strano e preoccupante sì, ma vero.

Ma c’è una buona notizia: il consenso può essere prestato in forma sia scritta che orale.
Per meglio tutelarsi, però, in tutti quei casi formali o di scarsa conoscenza della persona la cui foto desideriamo pubblicare, è consigliabile assicurarsi che il consenso sia scritto.
Se si tratta di un selfie con un amico o una persona cara, è più comune, oltre che più rapida, la forma orale, ma per evitare di correre inutili rischi è raccomandabile quella scritta. Ciò non significa che sia indispensabile una vera e propria liberatoria. Sono accettabili anche i meno ufficiosi messaggi e email.
La prassi non cambia se si utilizza il tag, etichettando una foto con il nome del soggetto che vi appare. È comune il pensiero che taggare equivalga a chiedere il “permesso”, ma non è così. In realtà, il tag segue la pubblicazione della foto e ha il solo scopo di informare l’individuo fotografato della presenza di una sua immagine su un profilo di un social network.
Inoltre, è utile ricordare anche che il consenso può sempre essere revocato. Infatti, il soggetto in questione, se cambia idea, può pretendere in qualsiasi momento la rimozione dell’immagine.

Fanno eccezione al principio del consenso solo alcuni casi, previsti dall’art.97 della L 633/41:

  • Quando la pubblicazione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto;
  • Quando è giustificata da necessità di giustizia o di polizia;
  • Quando è giustificata da scopi scientifici, didattici o culturali;
  • Quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
    Lo stesso articolo 97 precisa, però, al secondo comma che è ad ogni modo vietata l’esposizione o la messa in commercio quando si possa recare pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona.

Situazione ancor più grave è quella che vede l’utilizzo di foto altrui. Colui che si appropria di un’immagine pubblicata o comunque appartenente ad un altro soggetto può essere condannato per violazione del diritto d’autore al risarcimento dei danni. Chi, invece, usa una foto altrui per camuffare la propria identità, ad esempio creando un profilo falso e spacciandosi per un altro individuo, compie reato di sostituzione di persona e la pena è della reclusione fino ad un anno.

Troppo spesso le reti sociali vengono sottovalutate, non solo da giovani e minori, ma da chiunque discerne ancora il peso che hanno le azioni effettuate online da quello della vita “offline”. Qualcuno potrebbe affermare in tono piccato la tipica frase “al giorno d’oggi non si può dire e fare più niente”. Ma purtroppo le ripercussioni, seppur a volte differenti, esistono anche nella vita virtuale ed è ora più che mai necessario non dimenticarsi che anch’essa è realtà. Consci della giornaliera nascita di nuovi bisogni e di nuovi modi per soddisfarli, cerchiamo di tenere a mente l’esponenziale crescita dei beni da tutelare, per poter vivere con equilibrio in una società in continua metamorfosi.

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