A cura di Enrica Vacca.
Il 15 Febbraio 2022, la Corte Costituzionale giudica inammissibile il referendum sull’eutanasia legale, per il quale erano state raccolte più di 1,2 milioni di firme. Come si è arrivati a questo stallo?
Uno dei più celebri e recenti casi in materia è quello di Marco Cappato, il quale il 27 Febbraio 2017, accompagna Fabiano Antoniani (dj Fabo, reso cieco e tetraplegico a seguito di un incidente stradale avvenuto nel 2014) presso una clinica in Svizzera per assecondane la volontà di praticare il suicidio assistito. Tornato in Italia, Marco Cappato si costituisce e viene accusato di aiuto al suicidio (ai sensi dell’art. 580 c.p.). A tal proposito la Corte costituzionale sollecita un intervento del legislatore e, nel frattempo, giudica “non punibile” ai sensi dell’art. 580 c.p., a determinate condizioni «Chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile» che è causa di sofferenze «fisiche o psicologiche» intollerabili (Sent. 242/2019). Pertanto, Il 23 Dicembre 2019 la Corte d’Assise di Milano assolve Marco Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio, ritenendo il fatto non sussistente.
Occorre una precisazione preliminare: oggi in Italia l’eutanasia attiva è vietata sia per via diretta che indiretta:
– eutanasia diretta (omicidio del consenziente): l’art. 579 c.p. punisce il medico che somministri un farmaco letale a un paziente che ne faccia richiesta,
– eutanasia indiretta (suicidio assistito): si verifica quando è il paziente stesso ad assumere autonomamente il farmaco letale, fornitogli da un medico. In tal caso il medico in questione è punito ai sensi dell’art. 580 c.p. (istigazione o aiuto al suicidio).
L’eutanasia passiva consiste invece nel provocare la morte del paziente tramite l’omissione delle cure che lo terrebbero in vita. Tale pratica è lecita se volta a evitare una situazione di accanimento terapeutico.
Vista l’inerzia del parlamento e il contemporaneo aumento di pareri favorevoli in materia (dal 55,2% dei favorevoli nel 2015, all’attuale 70,4%), un quesito referendario volto a legalizzare l’eutanasia attiva, è sollevato alla Corte di Cassazione il 20 Aprile 2021 da una lunga lista di organizzazioni, partiti ed esponenti politici.
Il referendum in questione è di tipo abrogativo, volto quindi a deliberare l’abrogazione (in questo caso parziale) del testo dell’art 579 c.p. (in modo da legalizzare di fatto l’eutanasia).
Nonostante le duecentomila firme raccolte (che superano di gran lunga la soglia minima di mezzo milione, necessaria per poter proseguire con l’iter referendario e organizzare le operazioni di voto), un’inversione di rotta si ha da parte della Corte Costituzionale, la quale, il 15 Febbraio 2022 giudica inammissibile il quesito referendario in esame, sostenendo che «non sarebbe stata preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
A seguito di tale pronuncia, il referendum non si terrà. Pertanto, oggi, limitatamente a circostanze analoghe a quelle indicate dalla Corte, non è punibile chi favorisce il suicidio, ma rimangono penalmente perseguibili i casi di eutanasia attiva.
Tuttavia, tale pronuncia lascia perplessi, poiché, se da un lato tutela la vita umana in quanto tale, d’altro canto nega la libertà di autodeterminazione del cittadino (il quale deve essere libero di disporre della propria esistenza) e lede la dignità della persona, incrementando nel soggetto in questione il convincimento di non avere possibilità alcuna di tornare in possesso della propria libertà, rimanendo, a termine indefinito, in uno stato di sofferenza personale e dei propri cari. Viene pertanto leso dalla pronuncia il principio personalistico implicito negli artt. 2 e 13.1 Cost, il quale pone l’individuo e non lo Stato protagonista della vita sociale.
E sul piano internazionale? Il primo Paese a legalizzare la fattispecie in questione fu la Svizzera (nel 1942), seguita dai Paesi Bassi (nel 2002), Belgio, Lussemburgo, Colombia, Canada, Spagna e Nuova Zelanda.
E l’Italia? Quanti decenni ancora dovrà attendere?