A cura di Federica Panzarella
Da quando la Guerra ha avuto inizio, opinionisti e studiosi di “geopolitica” hanno fatto a gara nell’esprimere considerazioni in merito all’evoluzione e al ribaltamento dei rapporti politico-internazionali che andranno a caratterizzare e riformare le relazioni diplomatiche e il mondo di domani. Sono state formulate analisi stimolanti su vari fronti che hanno spesso posto e continuano a porre in luce schemi e interessi politici delle singole nazioni all’interno del più complesso quadro internazionale. Per quanto concerne il nostro Paese, realizzare un’analisi sui rapporti politici e i riposizionamenti successivi allo scoppio del conflitto diventa forse ancor più interessante se si guarda da una parte alle imponenti influenze che Russia e Stati Uniti hanno storicamente esercitato sull’Italia e dall’altra alla forte dinamicità delle posizioni politiche dei leader di partito, della classe parlamentare, governativa e dirigenziale. Il più o meno dichiarato posizionamento del centro sinistra, per quanto ambiguo, era da considerare prevedibile in relazione alla radice europeista e atlantista su cui si fonda l’istruzione e la cultura politica di Enrico Letta e di molti leader del Partito Democratico che, al pari di Macron e del suo partito, “La République En Marche!”, ad oggi mostrano di aver sedimentato una visione molto razionale della politica, sull’onda del pragmatismo e della realpolitik di Romano Prodi, e di essersi allontanati dal più complesso tema pacifista, del quale si fanno invece portavoce la nuova dirigenza dell’ANPI e i partiti della sinistra radicale, caratterizzati da forte anti-americanismo e anti-atlantismo. Non altrettanto prevedibili erano forse le divergenze e le profonde spaccature verificatesi tra i due grandi partiti della destra, Lega e Fratelli d’Italia, e all’interno del Movimento 5 Stelle.Nella complessa ambiguità degli orientamenti politici esistenti all’interno dei 5 Stelle, evidente anche prima del verificarsi del conflitto, si muovono, con lo scoppio della Guerra: le convinzioni o convenienze del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, saldamente filo atlantiche; le opposizioni dell’ex Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in merito all’aumento delle spese militari NATO, che delineano una generica ostilità alla guerra, non necessariamente motivate da un pensiero filo putiniano; infine le ormai da tempo chiare posizioni filo russe di Alessandro di Battista e Vito Petrocelli, che rappresentano da sempre quella parte di Movimento che vede la NATO come un intralcio e la Russia come un modello da seguire. Anche la destra si destreggia all’interno di tre macro posizioni, ambigue e all’occorrenza intercambiabili.Evidenti sono apparse le difficoltà per Silvio Berlusconi, comunemente ricordato come “l’amico di Putin”, di trovare un minimo comun denominatore tra le sue salde posizioni atlantiste e la sua altrettanto solida amicizia politica e personale con il Presidente russo. Ci è voluto del tempo affinché Berlusconi si esprimesse sul conflitto, senza però questa volta riuscire a trovare un valido punto di incontro tra la tanto sbandierata promozione della “gente della libertà” e l’evidente inconcinciliabilità con le estreme pratiche censorie esercitate in Russia, spesso risoltesi con l’avvelenamento di dissidenti quali Alexei Navalny, Viktor Yushchenko, Anna Politkovskaya.Il quadro però, come detto, diventa ancor più interessante se si studia l’altalenare di Lega e Fratelli d’Italia tra conflitti e alleanze. Matteo Salvini mostra una palese reticenza nell’esprimersi in merito all’attacco russo e nella sostanza non smentisce la sua straordinaria capacità del dire tutto e il contrario di tutto. La sua vicinanza al Cremlino è ben nota e ampiamente testimoniata dai numerosi viaggi a Mosca e dalle altrettante numerose dichiarazioni filo russe quali “Mi sento più a casa qui che in Europa” (Mosca, 2018) o ancora “Cedo due Mattarella per mezzo Putin!” sotto un post con cui si mostrava davanti alla fotocamera indossando una maglietta con la foto in divisa del presidente russo; il gemellaggio della Lega con il partito di Putin, Russia Unita, lo scandalo sui presunti fondi russi al partito e le cene di Savoini al Metropol ne rappresentano una ulteriore e definitiva conferma. Ancora oggi il leader del Carroccio stenta a prendere posizioni nette riguardo alle azioni sanguinose intraprese dal tanto stimato e osannato Vladimir; malgrado ciò, in perfetta coerenza con la sua straordinaria vena trasformista, nonostante i passati tentativi di riformare la legislazione a favore dell’agevolazione all’acquisto di armi, le posizioni in merito alla legittima difesa e le innumerevoli fotografie che lo ritraggono con fucili di ogni tipo, si dichiara pacifista e si propone come capo del movimento che dice no alla NATO e a qualsiasi tipo di sanzione. Nel tentativo di annacquare il recente passato appena descritto, di consolidare i rapporti con la Polonia in Europa e creare un nuovo Gruppo in Parlamento insieme a Orban e Le Pen, Salvini vola a Varsavia; alla luce delle contestazioni ricevute a Przemyśl proprio a causa della sua vicinanza a Vladimir Putin e al cambiamento che il conflitto ha portato tra i rapporti del Gruppo Visegrad, sfaldandolo, la brillante iniziativa si rivela però un boomerang e l’obiettivo che l’aveva promossa al momento poco raggiungibile.La guerra della Russia contro l’Ucraina ha di fatto generato profondi mutamenti di interesse: se in precedenza Varsavia era sempre pronta ad allearsi con Budapest nel contrastare molte norme dello stato di diritto, oggi per la Polonia è priorità assoluta quella di isolare Mosca e punirla per l’invasione, mentre la fedeltà di Orban nei confronti di Putin e del suo modello illiberale risultano essersi rinforzati e più importanti della protezione degli Ucraini e dello sforzo collettivo europeo di isolare la Russia. Degna di attenzione è anche la posizione più radicale scelta da Giorgia Meloni e dal suo partito che, al contrario di Salvini, si è dichiarata alleata con i polacchi del PIS, anti-sovietici, anti-russi e anti-Putin. Fugando ogni dubbio ha inoltre esplicitamente dichiarato, in relazione alle elezioni politico presidenziali francesi, di “non riconoscersi in Le Pen”, prendendo chiaramente in questa circostanza delle distanze che le saranno utili in Europa, a dispetto della precedente vicinanza alla linea del Front National. Se dunque antecedentemente allo scoppio del conflitto le differenze di rapporto dei tre partiti con la Russia erano sottili e a nessuno importava evidenziarle nel dettaglio, ad oggi le diversità sono più che leggibili: Berlusconi ha dovuto reintrepetare il passato perchè Putin non può più essere l’amico cordiale di sempre; Meloni, animata da un sentimento di difesa degli Stati Sovrani, si riscopre sempre più atlantista; Salvini, al pari di Le Pen e Orban, diventa sempre più ambiguo. A rafforzare ancor più questa frattura, i legami europei che vedono Meloni assumere un ruolo di guida nel Gruppo dei Conservatori, all’interno del quale il PIS, il partito polacco Legge e Giustizia, riveste un ruolo di rilievo; ciò a discapito delle alleanze dei Paesi del Gruppo Visegrad e degli esponenti di destra delle Repubbliche Baltiche che, al contrario di Orban, Le Pen e Salvini, si mostrano sempre più europeisti e atlantisti. In conclusione, a fronte dell’evoluzione in atto negli schieramenti politici italiani descritta, è opportuno sottolineare l’importanza di sostanziare la nostra visione e orientare le conseguenti personali prese di posizione su quanto sta accadendo in Ucraina, esaminando primariamente il contesto italiano, prima di avventurarsi in analisi più complesse, senza perdere di vista le influenze che i numerosi interessi legati alla definizione del nuovo assetto geopolitico esercitano sulla realtà del nostro piccolo Paese e dell’intera Europa.