A cura di Alessia Canuto
Cosa spinge una donna a dare della “tr**a” ad un’altra donna? È vero che le donne sono il peggior nemico di loro stesse? In che modo questo incide sul progresso verso la parità di genere? Nella prima puntata di “Ballando Con le Stelle”, al termine dell’esibizione di Iva Zanicchi, in coppia con Samuel Peron, la giudice Selvaggia Lucarelli si è scontrata con entrambi i ballerini. E dopo aver ricevuto uno zero come voto, parlando all’orecchio di Peron,la Zanicchi ha commentato “tr**a”, riferendosi alla Lucarelli. Purtroppo, il linguaggio e la scelta lessicale adottata mostrano, ancora una volta, come vocaboli inappropriati e sessisti provengano dallo stesso sesso femminile.
“Hai visto quanto è corta la sua gonna?”, “Guarda come si atteggia, è una richiesta totale di attenzione”. E altri mille “Guarda come…” sono considerazioni e commenti che tutti noi sentiamo provenire la gran parte delle volte dalle donne stesse. Spesso non c’è un vero motivo per cui tali osservazioni vengono condivise, sono viste come innocui pettegolezzi, frasi buttate lì con estrema leggerezza. Raramente ci si accorge che si tratta di un rafforzamento all’attivo di stereotipi di genere. Per favore, basta. Cosa ci spinge a farci crollare ed autodistruggerci, punendoci ingiustamente a vicenda? Deriva da una vera avversione personale o è esclusivamente dovuto ai condizionamenti della società patriarcale in cui siamo cresciute? La cultura pop, per molto tempo, insieme al genere millenario di film come “Mean Girls” hanno contribuito in gran parte a tale bagaglio culturale. Dalle foto photoshoppate ai commenti sui social media ai DM offensivi, il campo di gioco è diventato illimitato. E nessuno rimane in panchina in questa partita all’insegna dell’ineguaglianza.
Ma per i tanti casi come quello della Lucarelli, sotto i riflettori dell’opinione pubblica, ce ne sono altrettanti che rimangono sconosciuti. Tanto è l’odio che le donne normali subiscono nel fare le cose più regolari, come scegliere dove andare, cosa indossare e a che ora. L’uso della parola “tr**a” riguarda il genere che lo perpetra tanto quanto il genere che ne è vittima. Cosa frenerà il continuo tramandarsi di questo ciclo continuo? Il riconoscimento degli errori del passato sarà abbastanza? O dovremo fare di più, imparare di più, ascoltare di più? Sappiamo quanto può essere dannosa la parola “tr**a”, soprattutto poiché non ne esiste un’alternativa maschile: “mascalzone”, “scapolo”, “scorie umane” o “farabutto” non hanno le stesse connotazioni negative né si avvicinano alla capacità di ferire. “Tr**a” è una parola che attacca in modo univoco e ingiusto le donne come genere, e dovrebbe essere chiaro il motivo per cui è necessario abbandonarne immediatamente l’impiego. Purtroppo, quando usiamo tale termine, ciò che finiamo per fare davvero è dare ancora più potere al sessismo. Una delle citazioni più brillanti di Mean Girls, è l’insistenza della signora Norbury sul fatto che le ragazze smettano di chiamarsi tr**e e put***e. Alle donne viene insegnato a odiarsi, viene insegnato loro ad essere competitive, a confrontare costantemente i rispettivi corpi, vestiti e la propria intelligenza. Gli uomini che danno della “tr**a” alle donne rappresentano una realtà riprovevole, nota a tutti coloro che cercano di combattere la “gender dis-equality”. Ma quando anche le donne sono coinvolte in questo vizioso circolo sessista, l’impatto sulla lotta per la parità di genere è maggiore rispetto all’influenza che potrebbe avere l’ubriacone misogino annoiato a cui nessuno vuole sedersi accanto in un pub. Il “double standard” che consente agli uomini di essere elogiati per le loro scappatelle sessuali, mentre le donne vengono insultate e giudicate non svanirà mai, finché quest’ultime non saranno completamente unite e non si supporteranno a vicenda. Smettiamola di criticarci, celebriamo l’unicità e incoraggiamoci a vicenda ad essere fedeli a noi stesse, e prima di esprimere un commento negativo, liberiamoci una volta per tutte del linguaggio sessista che siamo stati abituati ad adottare fin dall’infanzia.